Immagino ergo sum

Per quanto inflazionato, credo sia comunque un concetto da ricordare ogni tanto, soprattutto di questi tempi: tutto ciò che di reale e tangibile oggi ci circonda, un tempo è stato solamente immaginato.

L’automobile, lo smartphone, il pc, la lavastoviglie, il pianoforte, la connessione internet, i servizi di messaggistica, gli acquisti con un click, la sveglia. Fate voi.

Vale anche per la famiglia, carriera, abitazione, cultura. Anche qui, fate voi.

Parlare in pubblico in modo disinvolto, guidare una vettura, fare una conversazione in un’altra lingua, suonare uno strumento. Stessa storia.

La prima volta che ho impugnato una chitarra, da bambino, mi sembrava semplicemente impossibile cavarne qualche suono compiuto, figuriamoci una canzone intera.
Idem quando ho parlato per la prima volta davanti ad autorevoli manager e imprenditori: all’inizio il cuore mi usciva dal petto e il suono della mia voce mi pareva estraneo.
E guidare? Credo sia capitato a tutti in principio. Freno, frizione, acceleratore, volante, cambio, specchietti retrovisori. Tutto contemporaneamente. Ma stiamo scherzando? Impossibile, ovvio.

Oggi queste “pratiche” risultano normali per me come per milioni di persone.

L’immaginazione è stata ed è l’anticamera della realizzazione.

Quando hai in testa un chiodo fisso e te lo vedi lì puntuale, ricorrente e nitido, non ce n’è: prima o poi si deve trasformare, e si trasforma, in realtà.

Il sacrilegio più infamante e terribile che si possa commettere è mortificare l’immaginazione, a partire da noi stessi e da come maneggiamo la nostra.

C’è una frase di Michelangelo Buonarroti che suona come un magnifico monito:
“Il più grande pericolo per molti di noi non sta nel fatto che i nostri obiettivi siano troppo elevati e quindi non riusciamo a raggiungerli, ma nel fatto che siano troppo bassi e che li si raggiunga”.

Immagino ergo sum.

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